Post 35
Elena era una donna disturbata.
Questo è quanto convenni con me stesso mentre ascoltavo l’interrogatorio.
Una ragazza procace indubbiamente piacevole, sessualmente ammaliante.
Aveva una indubbia incapacità a stare da sola. Il suo obiettivo nella vita era di avere sempre accanto qualcuno un uomo un amante un amico. Le radici di tutto questo malessere derivavano da un rapporto simbiotico con la madre. Una presenza costante e invadente. Fin da piccola concupita dalla stessa. Riflettei su quanti errori fanno spesso i genitori nei confronti dei figli. Elena era una donna di scarsa personalità ma con la convinzione di averla. Aveva bisogno dei essere affiancata ma voleva avere la velleità di gestirle. Quando trovava chi la gestisse entrava in quei vortici costanti di rapporti tossici.
Con Fabio avvenne ciò.
In un primo momento questo rapporto sembrava semplice, giostrabile. Lei, l’attricetta insignificante, al centro del suo interesse. I complimenti, le esaltazioni, il sentirsi il centro del suo universo, veniva difesa e protetta come aveva fatto sempre la madre.
Lui il paladino della giustizia, oltremodo cornificato, ma messo sempre in un angolo. Lui era il suo cagnolino, lei la femmina amministra uomini incapace di gestire persone con elementi per formativi più elevati. Lì nasceva il conflitto. Il disinteresse la fuga l’attribuire ad altri le proprie ed infinite colpe.
Fabio aveva retto finché fosse stato possibile poi…Dante.
Un incontro che cambia radicalmente la sua vita, quella voce assopita per tanti anni che si apre un varco si fa breccia e diventa megafono di un bisogno: l’amore.
Dante è l’amore. Elena un ripiego.
Elena era una femmina dispettosa una piantagrane, problemi di droga e una forte instabilità.
Durante tutto il colloquio non faceva altro che toccarsi i capelli, ne prendeva una ciocca e ne faceva delle piccole palline con quelli che cadevano, si guardava intorno non c’era nessuno che potesse proteggerla questa volta era totalmente disarmata.
Comunicai quanto avessi pensato ai colleghi e decidemmo di attuare una strategia basata sullo stress e operammo una pressione mentale con un bombardamento di domande, a raffica, a ripetizione, sempre le stesse. Si sentiva che stava cedendo, volevamo farle confessare cose avevamo sospetti ma nessuna risposta.
La giornata stava per volgere a termine i colleghi si alternavano per non cedere a loro volta alla stanchezza, io non potevo partecipare direttamente, seguivo tutto attraverso una telecamera e dalla stanza affianco dirigevo ed analizzavo i comportamenti.
Non ho mai sopportato le sciacquette senza senso, sordida e vomitevole vipera mascherata dal volto di angioletto ma col demonio che le divorava anima e cervello.