Post 36
Eravamo stanchi e poco lucidi.
Elena era più tosta di quanto sembrasse, aveva alzato un muro, sembrava che quasi niente più la scalfisse dopo quasi 24 h di interrogatorio decidemmo di riportarla in galera. Mentre stavamo decidendo sul da farsi Elena ebbe una specie di crisi di astinenza. Cadde a terra in preda ad un attacco di isterismo, chiamammo immediatamente il pronto soccorso mentre cercavamo di contenerla, fu in quel momento che urlò:- Maledetto Dante, pervertito di merda …io ti odio!
Gli ispettori ed io ci guardammo in faccia annichiliti, arrivò in pochi minuti l’ambulanza, i medici la sedarono e la portarono in ospedale.
Quella esternazione ci convinse che fossimo sulla buona strada ma ora dovevamo aspettare che la ragazza si riprendesse.
Quella merda di droga! Chissà, se non ne avesse mai abusato, oggi sarebbe un’altra persona.
Dato che l’interrogatorio si interruppe da solo facemmo tutti ritorno a casa. Eravamo stremati.
Finalmente rividi Cecilia che mi aveva dato ormai per disperso. Andai a casa sua e nemmeno il tempo di mangiare un boccone che crollai distrutto sul suo divano. Avvertii solo la sua leggera presenza che mi pose una piccola coperta sulle spalle…dopodiché non ebbi più memoria.
Il mattino seguente, quando aprii gli occhi, ebbi un momento in cui non capivo dove fossi, scattai, non era casa mia. Mi alzai e realizzai che fossi da Cecilia. Mi rasserenai subito dopo, mi recai in cucina e misi su a fare un caffè. Dopo qualche minuto entrò Cecilia.
Mi abbracciò così forte da rinsaldare tutti i miei pezzi sparsi in quegli ultimi anni.
Dopo aver fatto colazione presi contatti con gli ispettori per avere notizie sulle condizioni di Elena.
La ragazza, dopo essere stata sedata, aveva trascorso la nottata serenamente. Avemmo il permesso di andarla a trovare e di valutare al momento la possibilità di continuare ad interrogarla o meno.
Arrivammo nel primo pomeriggio in ospedale. Elena era seduta su una sedia accanto alla finestra della sua stanza, fuori c’erano i due piantoni lasciati lì dalla notte. Venne dato loro il cambio.
Elena era molto mansueta le medicine in corso la tenevano calma.
Il suo sguardo perso all’orizzonte che dava sul cortile non presagiva nulla di buono.
Ci guardò e non rispose al saluto. Cercammo, in presenza anche del neuropsichiatra venuto a posta per dirigere l’incontro, di instaurare un dialogo amichevole con la ragazza.
I silenzi erano profondi ed imbarazzanti. Gli sguardi si incrociavano, aspettammo qualche ora lì, tutto ci diceva che saremmo dovuti andar via, anche il dottore ce lo consigliò. Avremmo dovuto rimandare tutto all’indomani mattina? Pomeriggio?
Non lo avevamo ancora capito!